
pp. 32
Uscita: Settembre 2018
Postfazione: Beppe Benvenuto e Giancarlo Macaluso
Sovraccoperta d’artista: Ferdinando Scianna
Stampato in 300 copie numerate più 10 fotografie d’artista
un appassionato osservatore degli spigoli dell’essere umano: Sciascia scrittore e "maestro" è un fiume in piena di emozioni e critiche verso la realtà.
Esaurito
Fotografia inedita scattata da Ferdinando Scianna, con Leonardo Sciascia e Stefano Vilardo a Caltanissetta, 1964
Leonardo Sciascia è uno degli scrittori italiani più importanti e inafferrabili del Novecento. Deputato dal 1979 al 1983 con il Gruppo Radicale, partecipa alla Commissione d’inchiesta sulla strage di via Fani. Sul rapimento e l’assassinio di Aldo Moro ha scritto uno dei suoi più virulenti pamphlet, L’affaire Moro.
Le lettere a un giovane poeta di Leonardo Sciascia. Colme di candido cinismo (“L’infelicità è una condizione necessaria all’intelligenza”). Leonardo Sciascia esordisce come poeta: nel 1950 con le prose poetiche Le favole della dittatura e nel 1952 con la raccolta di poesie La Sicilia, il suo cuore. Entrambi i libri escono per l’editore romano Bardi, che il futuro autore del Giorno della civetta consiglia all’amico di una vita, Stefano Vilardo, poeta pure lui, conosciuto al liceo di Caltanissetta, con un consueto cenno di cinismo: “Quando avrai denaro da buttar via, come io ne ho avuto per le Favole… io posso agevolarti l’ingresso presso Bardi e poi scriverti una recensione”. Sciascia è più vecchio di un anno di Vilardo, e ne è acuto e inflessibile maestro: sarà il suo testimone di nozze, nel 1953, ne incoraggia gli esperimenti lirici (“A proposito delle poesie ti dirò che sempre più mi piacciono”), lo bacchetta (“In quanto alla tua poesia, con la mia consueta brutalità, ti dico che non mi va”), infine, battezza l’esordio dell’amico, nel 1954, con la raccolta I primi fuochi: “Vilardo possiede un avvertitissimo gusto, una sensibilità nuova della parola”, scriverà Sciascia sul Gazzettino di Sicilia. La raccolta di lettere, finora inedite, tra Leonardo Sciascia e Stefano Vilardo, dal 1940 al 1957, testimonia gli esordi del grande scrittore, inquieto, eccentrico (“Mi avvio decisamente verso la critica: e sono giunto ad una maturità e vigilatezza che meraviglia me stesso”, scrive Sciascia nel 1944), e la crescita dell’amico poeta, che arriverà ai grandi editori (nel 1977, con Garzanti, pubblica Tutti dicono Germania Germania; nel 1990, con Sellerio, stampa il primo romanzo, Una sorta di violenza). Sono anni decisivi per Sciascia: nel 1948 si uccide il fratello Giuseppe, nel 1957 muore il padre; nel frattempo si precisa il suo legame con Luigi Pirandello (nel 1953 pubblica Pirandello e il pirandellismo), nel 1956 pubblica Le parrocchie di Regalpetra, due anni dopo l’approdo in Einaudi, con Gli zii di Sicilia e l’avvio di una vicenda intellettuale nota, sontuosa, coi toni della polemica e della contraddizione. Le lettere a Vilardo sono, allo stesso modo, un trattatello di poetica, pieno di arguzia (“Scegliere una parola e farla poesia è più faticoso di un qualunque lavoro normale”; “Saccheggia, svuota, piega il vocabolario: soltanto così dominerai il sentimento. Anche la poesia è una tecnica, suprema, sfuggente, miracolosa – ma tecnica”), una specie di raccolta di ‘lettere al giovane poeta’, ma anche un acido pamphlet ricco di geniali cattiverie: verso il pubblico dei lettori e degli editori (“Ti consiglierei, ove potrai, di pubblicare: il buono piacerà ai pochi. Il brutto piacerà ai più”) o allargandosi a clamorose dimensioni esistenziali (“Nessuno è felice: tranne i prosperosi imbecilli. L’infelicità è una condizione necessaria all’intelligenza”).
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Ascolta l’emozionante estratto del libro letto per noi dall’attrice Erika Urban.
Come stai? Benissimo come al solito, credo: ma come al solito ti lamenterai.
Redazione per Lucia Libri
Salvatore Lo Iacono per Giornale di Sicilia
Leonardo Sciascia per Il Fatto Quotidiano
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