
pp. 24
Uscita: Dicembre 2016
Postfazione: Davide Brullo
Sopraccoperta d’artista: Roberto Floreani
Stampato in 500 copie numerate più 10 copie d’artista
chi ama Montale, la sua vita, i suoi scritti ma più ancora ama lo svelarsi, dietro le pagine delle lettere, dello scrittore in tutta la sua umanità.
Disponibile
Roberto Floreani, La città ideale, 2016
Uno dei più grandi poeti della tradizione italiana. Nel 1967 Eugenio Montale viene eletto Senatore a vita, ricevendo poi il Premio Nobel per la letteratura nel 1975.
Le lettere di Montale a Manara Valgimigli: il dietro le quinte di un grande poeta che visse “al cinque per cento”. Nell’aprile del 1946 Eugenio Montale, che è già l’arcinoto autore di Ossi di seppia e de Le occasioni, scrive una lettera devota a Manara Valgimigli, insigne grecista, traduttore, tra gli altri, di Platone, Aristotele, Sofocle e Saffo. Montale è stato ‘incastrato’ dalla sorte: deve presiedere la prima – e unica – edizione di un premio di poesia intitolato a Renato Serra. Con lui in giuria, Sergio Solmi. Montale vorrebbe tra i giurati anche Valgimigli. “Confido che Lei, di cui conosco l’animo e l’esemplare e non ostentata modestia, possa aderire all’invito”. Il grecista non si presta. Per la cronaca, qualche anno dopo, nel 1949, Montale ricorderà con parole spinose la sua presenza al Premio Serra, in cui, ad ogni modo, scoprì il talento di un giovanissimo Emilio Tadini: quei poeti “non ispirati dalle Muse ma perfettamente ‘à la page’… solo in qualche caso si poteva identificarli: maestri di scuola, preti, madri di famiglia, commercianti, industriali che fanno tremare i loro dipendenti ma che tremano essi stessi per il timore che si scopra il loro ‘vizietto’ poetico, medici, ragionieri, sottufficiali dell’esercito: tutto un mondo che produce (clandestinamente) e che acquista (quando può) poesia”. La lettera, tuttavia, fu il primo tassello di un breve rapporto epistolare durato fino al 1954, i cui esemplari, finora inediti, sono conservati nel Fondo Valgimigli della Biblioteca Classense di Ravenna. Si tratta, più che di lettere, di spioncini attraverso cui ammirare il ‘dietro le quinte’ della vita del grande poeta. Nella lettera più curiosa, datata 3 settembre 1954, il grande Montale si lamenta della vita al Corriere della Sera (“passo parte della giornata e della notte in redazione”), della connaturata povertà (“la mia casa è così piccola che non contiene che me e i pochi documenti necessari al mio mestiere… circa metà del mio stipendio se ne va per pagar l’affitto”), di una esistenza tanto marginale che “figurati non posseggo nemmeno una Divina Commedia… non ho in testa quel tanto d’impressioni, osservazioni, opinioni personali che mi permettano – in qualche singolo canto di Dante – di far qualcosa di diverso da altri lettori e commentatori”. Maliziosa bugia. Montale si apprestava a licenziare, in quegli anni, la sua raccolta più ‘dantesca’, La bufera e altro, con riferimenti anche testuali (il più noto è nella Primavera hitleriana) al sommo Dante. Compreso quel verso, memorabile, dedicato all’enigmatica Clizia, “che il non mutato amor mutata serbi”. Le lettere ci mostrano, dietro il velo dell’ufficialità, una vita “al cinque per cento” (come scrisse Montale), tra tedio e sublime.
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Ascolta l’emozionante estratto del libro letto per noi dall’attrice Erika Urban.
Faccio miracoli, credilo. E dire che molti mi credono un uomo già sistemato!!!!
La Prealpina
Luca Zuccala per ArtsLife
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